Mario Rigamonti, parliamo non solo di un grande campione.. anche di un uomo sicuramente unico. Oggi un bellissimo articolo di Gian Paolo Ormezzano, tratto da dal sito web amicigg.it (sito web non più on line..).
La storia dei campioni di Superga – Rigamonti, stopper con la moto nel cuore
Quel matto di Rigamonti metà stopper, metà moto
“La passione per le due ruote lo portò a compiere follie e sparire prima del campionato”. Fu lui il primo vero stopper: forte, sbrigativo, rude ma anche generoso di cuore. “Noi tifosi granata eravamo stati a lungo molto scettici su Mario Rigamonti detto subito Riga.
Aveva vinto il primo titolo italiano nel dopoguerra, ma sembrava troppo grezzo, troppo giovane, troppo impulsivo, e quando arrivò nel campionato successivo Santagiuliana, più esperto del ruolo, si pensò che aspettare un altro poco, formarsi un altro molto, avrebbe fatto bene a lui e al Toro.
L’anno dopo arrivò un altro per favorire la crescita di Rigamonti: si chiamava Rosetta, Francesco Rosetta detto Cecco, scuola novarese. L’altro celeberrimo Rosetta, Virginio, quello della Juventus, era di scuola vercellese. Non convinse, avrebbe fatto la sua bella gran carriera nella Fiorentina di uno scudetto, nella Nazionale dove impose il suo rito speciale, una specie di comunione laica, una bistecca, una fiorentina appunto, fatta a pezzetti e distribuita, un pezzetto a testa, ai giocatori.
Rigamonti esplose nonostante le diffidenze. I suoi critici spinti dissero che finalmente aveva imparato a giocare a calcio. I suoi estimatori aprioristici dissero che c’era la prova, era stata davvero soltanto questione di tempo. I suoi ammiratori dissero che era difficile comportarsi da così grande atleta in campo e da così grande mattoide fuori, ci voleva del genio.
Ci sono secondo Marotta uomini che sono mezze sedie: i portieri statici, appunto su una sedia, di certi casoni napoletani. Rigamonti era una mezza motocicletta. Quando non si allenava o non giocava, stava su una motocicletta.
Ogni tanto spariva e i suoi compagni dicevano: “Oh, Riga è andato in moto da qualche parte”.
Un suo piccolo erede sarebbe stato Emiliano Mondonico, che disertava un allenamento per andare a Genova a sentire i Beatles: però usava lo scooter, mentre le grandi moto di Riga erano definite rombanti, rutilanti, divoranti la strada.
Rigamonti era l”anima bislacca del Trio Nizza, dal nome del quartiere in cui stava la prima pensione torinese dei tre: lui, Bacigalupo e Martelli. Riga era il centauro, il matto su due ruote mentre gli altri accedevano alle quattro ruote.
Era arrivato a Torino da Brescia molto giovane, era cresciuto in granata, appena poteva, e anche quando non doveva, saltava in moto e spariva. Gli chiedevano dove era stato, lui rispondeva di non saperlo, e magari era vero.
I compagni coniugavano la prima ricchezza e l”automobile, lui era un uomo completato da una moto.
La chiamata dal Torino gli era arrivata quando aveva appena sedici anni. A Brescia sapevano che sarebbe diventato un grande giocatore, ma la sua smania per i motori, anticipando i tempi legali per i permessi di guida, inquietava i suoi genitori. I quali dissero di si al Torino, che dopo averlo opzionato con 25.000 lire con altre 18.000 lire lo portò sotto la Mole offrendo a papà e mamma l’ipotesi seducente di Mario messo in un collegio, a studiare: anche perché la scuola a Brescia aveva significato per lui una bocciatura.
In realtà il collegio era un istituto privato convenzionato con la società granata, ma ai genitori bastò. Delegarono il fratello maggiore Luigi, noto campione di lotta, a seguirlo con molte visite a Torino, e cominciarono a sognarlo grande giocatore.
Al Torino lo aveva portato Sperone, Mario di nome come lui, ex giocatore, buon tecnico, e fu Sperone a dirottarlo in una squadra minore della città, a rodarsi. Ma per poco: Rigamonti divenne titolare granata a neanche 23 anni, esordendo in un derby perduto 2-1, dopo un passaggio breve nel Lecco, in prestito.
Giocò anche tre volte in Nazionale, con debutto nel 1947, quando la squadra azzurra schierò a Torino dieci del Toro, contro l”Ungheria: bisogna ricordare che allora il ruolo di centromediano azzurro era di Carlo Parola, un grande torinese della Juventus.
Centromediano, abbiamo detto. Qualche volta Nicolò Carosio diceva mediocentro, o centrosostegno, dando a parole l’idea di un giocatore forte di fisico, sbrigativo di modi, rude di interventi, e naturalmente generoso di cuore. Rigamonti nel Toro era atleticamente e caratterialmente più vicino a Ballarin la roccia che a Maroso la poesia.
Il sistema, affidandogli una marcatura fissa, fece di lui il primo nostro stopper di autentica caratura internazionale. Però era un gran matto.
Alla ripresa degli allenamenti per il campionato 1946-47 si rivelò svogliato, assente: eppure l’anno prima aveva giocato 36 partite in prima squadra, in un campionato lungo, non a girone unico. Aveva patito Santagiuliana nella stagione appena finita, e non voleva patire Rosetta in quella che andava a cominciare? Comunque lasciò la squadra proprio quando il campionato stava per prendere il via.
Lasciò per dove? Mistero, non chiaribile neppure dai suoi, che giuravano di averlo visto, su una moto, partire per Torino – così almeno aveva detto – dopo una visita lampo a Brescia. Le prime ricerche andarono a vuoto, neanche Bacigalupo e Martelli sapevano qualcosa. Lo rintracciò uno zio: Riga era in un paesino presso Parma, ad aiutare un amico per la vendemmia.
Il Torino aveva cominciato con Rosetta al centro della mediana, 1-1 in casa contro la Triestina. Rigamonti arrivò e rovinò in sede, come rotolandosi dalla moto. Disse di essere pronto a giocare, spiegò che una vendemmia è una esperienza umana utile anche per un giocatore, insomma sfuggì all’ira di Novo e di Sperone.
Era il primo a ridere delle proprie follie, e la sua risata evidentemente era contagiosa”.
Gian Paolo Ormezzano