Una fantastica cavalcata durata 15 partite dopo aver vinto il campionato di Promozione Romano si esalta nella serie dal dischetto e mette nero su bianco il dominio dei camuni.
LA PARTITA Il 3 giugno 1990 i granata battono ai rigori la Pistoiese dell’ex ct azzurro Ventura allo stadio di Vibonati
Domenica 3 giugno 1990. In Italia è giorno di referendum su caccia e pesticidi.
Ma è soprattutto un giorno d’attesa. Non per tutti, però, l’attesa vuol dire la stessa cosa. O almeno non in val Camonica. Fino a Darfo, com’è logico, ai Mondiali ci si pensa eccome. I cinque giorni che mancano alle Notti Magiche si sentono tutti. Ma a Breno la situazione è molto diversa. La nazionale di Vicini è un pensiero del futuro. L’immediato è tutt’altro.
Il 3 giugno 1990, a Breno, la sola cosa che conta è «La Partita». Doppia maiuscola. La finale della Coppa Italia Dilettanti della stagione 1989/90.
Rewind. Il Breno è società tormentata. Sarà il granata, il colore del grande Torino (non per niente il Breno è chiamato il «Piccolo Torino»), ma la sua storia è costellata di successi e cadute, luce e oblio. Ad esempio, ad oggi, il Breno è stato fondato e rifondato già tre volte: 1946, 1974 e 2013. Nella prima parte del 1989 però è al top. Primo nel campionato Promozione, ha grandi giocatori e margini di crescita incredibili. Eppure in inverno arriva la crisi nera.
«La società ci dice che ci sono dei problemi – ricorda Roberto Nova, il figlio del grande Chico, che di quel Breno è il terzino sinistro -. Non ci sono le risorse per tenere fede agli impegni presi con i giocatori. Si rischia la smobilitazione. Quando ce lo comunicano il mercato è ancora aperto: se vogliamo possiamo partire». Ma la squadra la pensa diversamente dai dirigenti. Nessuno se ne va.
«Una decisione dovuta alla nostra coesione e alla certezza di essere forti – prosegue Nova -. C’era un gruppo importante. Molti di noi, tra cui io e Toni Scotti, venivano da Brescia e avevano spese importanti. Però non ce la siamo sentita di andar via. Siamo rimasti e abbiamo lottato fino alla fine».
Galantuomini. O meglio: galantuomini che giocano divinamente a calcio. Il campionato è vinto con un punto di vantaggio sul San Paolo d’Argon (44 punti a 43, due sole sconfitte stagionali). Resta La Partita.
Secondo rewind. Nel 1990 si gioca ancora una Coppa Italia mista con squadre di Promozione e Interregionale nella stessa competizione. La più forte si prende tutto. Nella fase di Promozione il Breno è inarrestabile. Malmena Palazzolo, Verolese e Mapello nel girone eliminatorio, quindi abbatte Voltese, Officine Bra Valpantena, San Martino Buon Albergo, Isola Sacra Fiumicino, Città di Castello e Albastri Volterra. Quindici partite. Un altro mezzo campionato. Dopo la vittoria sul Volterra c’è la final four incrociata. Primo avversario, il Leffe. «Una squadra supersonica – assicura Nova -. Il primo giugno giochiamo una semifinale tiratissima che finisce 0-0 ma ai rigori passiamo noi. Il loro portiere era il bresciano Nadir Brocchi».
E così si arriva alla sfida decisiva. L’avversario dell’ultimo atto è la Pistoiese. La allena un certo Giampiero Ventura, agli inizi di una carriera che lo porterà ad un’avventura (e qui ognuno ci metta l’aggettivo che preferisce) con la nazionale. Il centravanti è Patrizio Pazzini, fratello maggiore di Giampaolo. Nel complesso è una formazione tosta, che si è imposta 3-0 in semifinale sul Putignano e a detta di tutti dominerà l’incontro. Ma non ha fatto i conti con il Breno di Eugenio Mismetti. Un bergamasco della val Seriana, gente di carattere. La squadra gli somiglia. Gioca una sorta di 1-3-3-3.
Tra i pali c’è Marzio Romano, una garanzia. Il libero è Paolo Crescini, di norma un tuttocampista, nella circostanza specifica il sostituto di Giuseppe Decca, che deve dare forfait per stare accanto alla moglie incinta. I tre di difesa sono Luca Speziari, Alex Barcella e Roby Nova. A centrocampo tutto ruota attorno al trio composto da Paolo Perico, Roberto Meli e Claudio Girelli. Davanti Attilio Serioli, Toni Scotti e il compianto Paolo Treccani.Ore 20.30, si comincia. Contrariamente alle cronache del tempo, che riportano Maratea come luogo della partita, si gioca 25 km più a nord, al «Valentino Mazzola» di Vibonati.
E se il Breno è il «Piccolo Torino» un campo che porta il nome del più forte giocatore del Grande Torino non può che portare bene. Sensazione che si fa realtà nonappena si comincia a giocare.
«Eravamo tranquilli, senza pressioni – assicura Nova -. Loro invece erano più contratti». Mentre la squadra ci prova, sfiorando il gol per tre volte nel solo primo tempo, a Breno si vive in apnea. Non ci sono tv né radio. Ci si deve affidare al telefono. La signora Elisabetta Pavoni, di professione barista, si trasforma in centralinista. È lei che tiene i contatti con Andrea Mensi a Vibonati. Finisce il primo tempo, poi il secondo e ancora nulla. La buona notizia è l’espulsione di un giocatore della Pistoiese.
Segnali. Anche dopo i supplementari – dominati -, non si batte un colpo. Finalmente, alle 23.30, arriva la notizia: «Abbiamo vinto ai rigori». Quello che in paese non sanno è la successione dei tiri dal dischetto. Dopo i primi due tiri è 2-2. Poi Salvetti segna il 3-2, Romano para il tiro di Cavestro. Serioli fa 4-2. Gutili accorcia per 4-3. Ma alla fine Romano è ancora superman. Para l’ultimo rigore e scatena il tripudio. La signora Elisabetta viene sommersa dalle urla di gioia. Il paese esplode. C’è anche una delegazione che parte per Linate per accogliere la squadra e scortarla fino a casa. Il «Piccolo Torino» non esiste più. C’è solo il grande Breno.
Fonte: Brescia Oggi – 02 Agosto 2021
Copertina: Il Breno dei miracoli protagonista nel corso della stagione 1989/90: dopo aver vinto il campionato di Promozione (un punto sul San Paolo d’Argon) si è ripetuto nella Coppa Italia Dilettanti