Ma chi era Mario Rigamonti? È questo l’interrogativo che si pongono i tanti piccoli amici che giungono al Centro Sportivo per intraprendere l’attività a loro più congeniale e preferita.
Mario Rigamonti è nato a Brescia il 17 dicembre del 1922, da papà Aurelio e da mamma Agostina, gestori del Ristorante Albergo con stallo ‘La Mansione’, sito nella omonima via in città a Brescia.
Secondo di cinque fratelli, tutti maschi, frequenta la scuola all’Istituto Cesare Arici, dai Padri Gesuiti; gioca al calcio nella società di casa per poi trasferirsi al TORINO CALCIO, e a Torino consegue la licenza liceale e si iscrive alla Facoltà di Medicina. Correva l’anno 1941/42.
Nel periodo più cruciale della guerra ritornò prima al BRESCIA in prestito militare, e poi al LECCO.
Entrambi gli stadi di queste squadre oggi portano il suo nome.
Verso la fine del 1944, con l’Italia divisa a metà e in grande confusione, pensò bene di abbandonare la divisa e darsi alla macchia.
Si rifugiò a San Secondo (in provincia di Parma) dove, ospite dei fratelli Gaggiotti, gli amici di sempre, trovò pure i fratelli Luigi e Dante.
L’abitazione era un grosso stabile del 1600, ex convento dei Frati Zoccolanti, dove erano sfollati per opportunità contingente anche gli uffici comunali del paese, e ciò costituì un indiscutibile vantaggio… come è facile immaginare.
Tanti furono i pericoli corsi, ma altrettante le contromosse depistanti e liberatorie. Nel pericolo, Rigamonti si dimostrò freddo, determinato e sicuro, tanto da non disdegnare neppure sortite a Brescia e Lecco, in bicicletta o con altri mezzi di fortuna.
A San Secondo trascorreva le sue giornate in compagnia, in casa di agricoltori amici, nella stalla giocando alle carte o nel prato antistante l’abitazione giocando al pallone.
Parlare di lui mi è facile e mi sollecita, con lui ho diviso anche il letto, lo conoscevo bene; mi duole però il sapere che non riuscirò mai a rendergli i giusti meriti, ma ci proverò: lo merita.
Nel maggio del 1945, finite le contese belliche in Italia, grande fu per tutti il desiderio di ritornare alla normalità, al sorriso, e possiamo ben dire che il calcio fu una delle principali ragioni di vita.
Parma, e ben lo sappiamo, è ed era una delle città più ospitali d’Italia.
Tradizionali sono le sue fiere: ogni paese ne ha una, che cade solitamente in estate e dura tre giorni, e in quelle occasioni non si bada ad elargire e spendere.
Quell’estate, cessati i conflitti, il desiderio di banchettare e divertirsi fu incontenibile.
Si organizzarono feste, si allestirono tendopoli (chiamati festival) per il ballo, si fece teatro e si organizzarono incontri di calcio campanilistici, tra paesi vicini.
Per Rigamonti e compagni fu vera manna, e anche per me, che a loro mi ero definitivamente aggregato.
Molti i campioni di quei tempi che ci raggiunsero e con noi giocarono. Ricordo Olivieri, Cappello IV, Bacchetti, Gei, Messora, Ferrari Mario, Lamberti, Romanini e tanti, tanti altri. Rigamonti era per tutti un forte richiamo.
Disputammo e vincemmo oltre venti incontri giocando per il SAN SECONDO, ma più ancora per il FONTANELLATO e per lo ZIBELLO, ovunque raccogliendo simpatia, consensi e affetto.
Nel settembre del 1945 Mario Rigamonti ritornò al TORINO, allenato e in grandi condizioni, pronto a vincere le tante concorrenze, lo aveva giurato, e a indossare quella maglia numero 5, vero tabù per i centravanti avversari, come sportivamente ebbero ad ammettere campioni del calibro di Nordhal, Piola ed altri.
In Nazionale giocò tre partite, le vinse e risultò sempre essere il migliore in campo, come decretato dalla altezza della torre che il Guerin Sportivo usava nelle valutazioni.
Il suo esordio cadde l’11 giugno del 1947 contro la fortissima UNGHERIA a Torino, con il risultato a nostro favore di tre reti a due.
Ai festeggiamenti che seguirono Rigamonti mancava. Lo trovarono in una piazza di Torino che ancora tirava calci con tanti suoi giovanissimi amici e a piedi scalzi.
Giocò ancora il 14 aprile del 1948 a Parigi contro la FRANCIA e l’Italia vinse per tre reti a zero.
L’ultimo suo incontro, quello della consacrazione al numero e alla maglia, lo giocò a Madrid contro la SPAGNA e la nostra Nazionale vinse per tre reti ad una. Rigamonti stava alla Nazionale come la Nazionale stava a Rigamonti, era indiscutibile.
In maglia azzurra avrebbe potuto arrivare anche prima, sempre che i pur bravi e quotati tecnici di allora avessero meglio valutato le innovazioni di gioco (sistema) espresse dal grande TORINO.
I granata giocavano, si divertivano e vincevano.
A volte concedevano pure, ma solitamente alle piccole e molto meno alle grandi.
Se meglio si vuole capire, si ritorni alla lettura sportiva di quei tempi, e dai risvolti ci si renderà ragione…
Come atleta era fisicamente dotato. Con una altezza di 1,82 m. e un peso di 75 kg. risultava essere più che aitante e granitico.
Imperioso nello stacco aereo e nell’anticipo, scattante e veloce, tanto da riuscire nella necessità a chiudere anche in fascia, sulle ali, dando a Maroso o Martelli e a Ballarin la possibilità di proporsi in avanti e fluidificare.
Pochissimi lo sanno, ma negli anni antecedenti la sua completa dedizione al calcio, seguendo le orme del fratello Luigi, Mario Rigamonti fece anche lotta greco-romana, conquistando il titolo di Campione Lombardo di categoria.
Come uomo, alla grande simpatia univa bontà d’animo, modestia, tatto, cultura e intelligenza. Laureando in Medicina, era ben voluto dai compagni e dalla società, tanto che alla ultima sua partenza, quella senza ritorno, il Presidente Ferruccio Novo abbracciò lui con l’intento di abbracciare l’intera compagine del TORINO.
Nel parmense contava amicizie, simpatie e sempre ritornava in moto nei giorni di libertà. Sostava a San Secondo, ma non disdegnava di portarsi a Zibello, alla mensa della signora Zaira, dove alla Buca era di casa.
A quei tempi la trattoria a ridosso di un argine del fiume Po era ben poca cosa, e il nome lo conferma, ma si gustavano piatti eccezionali e il culatello, familiarmente servito, era il piatto clou.
Oggi ‘La Buca’ è divenuta un ristorante famoso, ottimamente gestito, e la sua notorietà la deve anche a Mario Rigamonti, come pure a Nicolò Carosio e ad altri…
Il 4 maggio 1949 alle 17 circa, di ritorno dalla trasferta di Lisbona dopo l’incontro con il BENFICA del Capitano Ferreira, il terribile impatto contro la Basilica di Superga, lo schianto e poi la morte.
Fu il fratello Luigi, “il Gran Lombardo”, come ebbe a scrivere il compianto giornalista Gianni Brera, pure lui perito tragicamente, a ricomporre la martoriata sua salma, che riconobbe dal ciuffo dei capelli, quelle di tutti i suoi compagni, dei giornalisti Casalbore, Cavallero, Tosatti, e dell’intero equipaggio. «Un compito massacrante», ebbe poi a dire!
Mario Rigamonti oggi giace nel cimitero di Capriolo (BS) accanto ai genitori e ai fratelli Luigi e Ulisse nella tomba di famiglia. Sulla pietra la scritta: Muore giovane chi al cielo è caro!